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San Giorgio Martire (Santo Patrono)

Secondo la tradizione, i preparativi festivi iniziavano qualche giorno prima del 23 aprile con la pulizia del piazzale di chiesa, per il quale si spendeva mediamente la somma di 3 lire e 15 soldi. Dopo di che si abbellivano i portoni d'ingresso della parrocchia ornandoli con ghirlande di mirto profumato, per infondere nei fedeli un più elevato senso di gioia e devozione verso il Santo.
Ultimati questi preparativi, il giorno della vigilia della festa il suono risonante delle campane e lo scoppio dei razzi (is guettus) annunciavano al popolo che l'inizio delle celebrazioni liturgiche in onore di S. Giorgio Cavaliere era vicino. Nel frattempo la chiesa veniva illuminata a giorno con i ceri acquistati per l'occasione, mentre l'altare con ara foderata dov'era riposta la statua equestre del Santo era addobbato e abbellito con mazzi di fiori colorati e drappi ricamati.
Sempre per la vigilia i venditori ambulanti allestivano le bancarelle, is paradas, per la vendita di torroni, noci, nocciuole, dolciumi e utensili vari, che richiamavano l'attenzione di tutti e in particolare, dei bambini che le affollavano incuriositi e desiderosi di rimediare qualche leccornia. La sera lo scoppio dei razzi e il vivace suono delle campane (sa solidadi) spandeva nell'aria e negli animi un senso di allegra spensieratezza per l'imminenza dei festeggiamenti, che l'indomani avrebbero avuto il culmine più significativo.
Il giorno della festa era ancora il suono mattutino delle campane e l'esplosione dei razzi ad annunciare l'inizio dei festeggiamenti religiosi, che a metà mattino si aprivano con la processione alla quale partecipava un folto gruppo di cavalieri in abbigliamento tradizionale, schierati in testa al corteo con i cavalli bardati a festa. Dietro i cavalieri seguivano i confratelli della Confraternita del Santissimo Rosario, disposti in fila su due ali separate, il suonatore di launeddas che precedeva il simulacro di S. Giorgio e quindi, il clero con i fedeli che cantavano Inni di Lode al Santo.
Per questa cerimonia processionale le strade dei vari vicinati venivano abbellite spargendo per terra tappetti d'erba profumata e fiori di campo: sa ramadura, per la quale nella prima metà dell'Ottocento si spendevano 10 soldi.
Terminata la processione, la statua veniva riportata in chiesa per la celebrazione della messa cantata con su sramoni (il panegirico), che tanto piaceva ai fedeli perché durante la predica si glorificavano le gesta del Santo e il suo martirio. Delegato ad officiare il sermone era un predicatore che arrivava da fuori, per il quale si spendeva una cifra che oscillava tra le 7 e le 10 lire, compreso l'affitto del cavallo necessario ad accompagnarlo in paese. Di questi memorabili sermoni che si celebravano per la ricorrenza del Patrono è restato famoso quello del 1848, di cui ancora oggi si conserva una copia in sardo, che è stato definito dagli studiosi locali molto avvincente, ricco di avvenimenti, colorito e scenografico allo stesso tempo.
La liturgia proseguiva ancora con i canti religiosi e raggiungeva il suo apice di glorificazione al momento dell'elevazione, quando di fuori con bombas y cohetes si esplodeva una consistente raffica di fuochi artificiali, che segnavano anche la conclusione delle celebrazioni mattutine.
Anche in questo caso l'acquisto di cohetes y bombas por el desparatorio è ampiamente documentato sia nel Settecento che nell'Ottocento dai registri della Causa Pia, con una spesa che a seconda degli anni variava tra le 2 e le 17 lire, come si verificò appunto nel 1827. Gli stessi registri evidenziano inoltre, che dopo otto giorni (a s'ottava) tutte le cerimonie religiose, compresa la processione e i fuochi artificiali, si ripetevano ancora una volta in forma solenne e anche in quella circostanza alla fine delle celebrazioni si offriva un rinfresco ai confratelli e al suonatore.
Tornando ai festeggiamenti del 23 aprile, dopo la messa solenne del mattino nel piazzale di chiesa alcuni cavalieri molto abili con le fruste (is fuetus), si esibivano facendole schioccare ripetutamente davanti a un folto pubblico, composto da adulti e bambini, che affascinato assisteva a dei numeri veramente spettacolari.
Fra is fueteris più apprezzati gli anziani del paese ricordano Raffaele Sotgiu, Giovanni Picciau, Severino Ferru, Cesello Ferru, Efisio Spanu e Mario Ledda, i quali, con polso fermo e movimento continuo, creavano con la frusta sonorità e combinazioni ritmiche paragonabili al rumore prodotto dai fuochi artificiali in miniatura e dalle matraccas (crepitacoli).
Al termine di questa esibizione, gli obrieri offrivano ai componenti della confraternita un ricco rinfresco a base di dolci e malvasia e il pranzo al predicatore e al suonatore di launeddas.
Dopo i pasti i festeggiamenti proseguivano nel pomeriggio in forma civile, con intrattenimenti vari che si distinguevano nettamente dalle celebrazioni liturgiche del mattino, svolte sempre in forma profondamente devozionale.
Sotto l'aspetto profano, infatti, la festa in passato prevedeva diversi momenti di svago e tra questi il ballo tradizionale aveva indubbiamente un ruolo fondamentale, perché richiamava un alto numero di giovani di ambo i sessi che nell'entusiasmo generale ballavano nel piazzale della chiesa sino a notte tarda, trascinati dal ritmo armonico e austero delle launeddas. Ciò nonostante, durante i festeggiamenti dei primi decenni del Novecento, il ballo tondo venne progressivamente sostituito dalle danze moderne, che le mode del tempo imposero inesorabilmente, affermando così un'altra modalità di ballare sia nelle piazze e sia in privato (con orchestrine e grammofoni), che si sviluppò soprattutto all'epoca del ventennio fascista.
Nell'ambito della festa anche le manifestazioni equestri, incentrate sulle corse dei cavalli berberi e le gare a pariglia, riscuotevano molto seguito fra la gente, proprio per il rischio e l'alto contenuto spettacolare che queste includevano nel corso del loro svolgimento.
D'altro canto, il fatto stesso che S. Giorgio fosse un cavaliere implicava necessariamente che, in occasione della sua ricorrenza, nel calendario dei festeggiamenti non potessero mancare né cavalieri e né cavalli.
Un vecchio detto popolare sestese, infatti, così sottolineava: po Sant’Isidoru boisi, po Santu Giorgi cuaddus, ovvero la festa di Sant Isidoro è caratterizza dalla presenza dei buoi, mentre quella di San Giorgio è collegata ai cavalli.
Di solito, come per le altre feste locali, anche per il Santo Patrono le corse dei cavalli si svolgevano nelle aie, oppure in aree sterrate poste nella periferia del paese, dove ai margini del percorso si posizionava una fitta folla di persone che, in tutta allegria, aspettava l'inizio delle gare.
Nella prima metà dell'Ottocento queste gare si svolgevano in modo piuttosto cruento, con i poveri cavalli frustati e percossi a sangue dai loro fantini, che li spronavano cosi per non farsi superare dagli avversari. Perciò, il viceré Giuseppe Maria Montiglio, per eliminare i gravi abusi che si commettevano nelle pubbliche corse con is matzoccas (mazzere usate per colpire senza controllo gli altri fantini e i loro cavalli, per guadagnare il premio stabilito), il 1 luglio 1838 emise un pregone per sopprimere queste pratiche e impedire il sorgere di gravi disordini (talvolta anche funesti), che potevano scaturire da queste dannose azioni. La pena per i trasgressori dell'ordine venne stabilita in tre giorni di carcere, oltre alla perdita del premio conseguito, con l'aggiunta di altre pene e indennizzi derivanti dai danni inferti ai fantini, ai cavalli e agli stessi proprietari degli animali.
In ogni caso, benché vigessero queste severe disposizioni, certe consuetudini fraudolente si rivelarono dure a morire se ancora nel 1927 perdurava la discutibile abitudine di somministrare ai cavalli delle poltiglie di fave e pane (maritzosu), inzuppate abbondantemente nel vino rosso, per dare vigore ai cavalli durante la corsa. Ovviamente, c'era sempre qualcuno che, in accordo con appositi complici, cercava di dare agli animali avversari misture contraffate, con dosi ad alto contenuto alcolico, per fiaccarne la resistenza nel corso della gara.
Così, ad esempio, accadde nei festeggiamenti del Patrono del 1927, quando in casa di un certo Raffaele Pinna, che aveva il compito di alloggiare i fantini e i cavalli della corsa di quell'anno, qualcuno tentò di somministrare ad alcuni destrieri una porzione di poltiglia di pane alterata con vino, col preciso intento di causare danni agli avversari. Per fortuna il padrone di casa si rese conto di quest'azione illecita e perciò, intervenne personalmente per evitare l'inganno e scongiurare conseguenze sgradevoli a certi concorrenti alla gara. Le corse a pariglia, invece, iniziavano subito dopo le corse dei cavalli berberi e si svolgevano lungo la via Monserrato e talvolta, nella via Roma, con partenza dal piazzale della chiesa parrocchiale e arrivo nei pressi del ponte Sant'Antonio. Anche per questa tradizione equestre gli spettatori affluivano in grande numero, proprio per assistere alla maestria dei cavalieri che, in posizione eretta sui rispettivi animali lanciati al galoppo, si esibivano con gli altri compagni di pariglia in spericolate acrobazie capaci di trasmettere forti emozioni al pubblico presente, il quale fruiva dello spettacolo e, tra una discesa e l'altra, commentava vivamente il coraggio sulle esibizioni effettuate.
Le pariglie erano molto amate dalla gente perché, in queste competizioni, i fantini dovevano cimentarsi in prove di altissima abilità, per evitare incidenti dalle imprevedibili conseguenze. Durante le esibizioni, infatti, il rischio di cadere era sempre presente e ciò incendiava l’entusiasmo della folla, che assisteva alle varie figure acrobatiche realizzate dai partecipanti.
Alla fine dello spettacolo i commenti sulla manifestazione continuavano anche in piazza fra quelli che avevano assistito all’evento, i quali davano luogo ad animate discussioni che, talvolta, si protraevano addirittura per svariati giorni dopo la festa.
Verso la fine degli anni venti del secolo scorso, nel programma dei festeggiamenti venne introdotto anche un nuovo spettacolo: is guettus de funi, che si svolgeva subito dopo le corse dei cavalli. La manifestazione prevedeva il montaggio, lungo uno dei muraglioni del Rio Matzeu, di un apposito fil di ferro, che da un capo veniva fissato al vecchio ponte di Sant'Antonio e dall'altro alla passerella, che a quei tempi era situata a oltre duecento metri di distanza.
Prima dell'ancoraggio, comunque, sul fil di ferro venivano sistemati alcune decine di razzi (guettus), i quali avevano tutti un anello che dopo l'accensione della miccia li faceva sfrecciare velocemente lungo il filo, fino allo scoppio finale che avveniva alla fine del percorso.
Anche questo spettacolo, che si protrasse fino al secondo dopoguerra, era molto gradito dalla gente, che ci partecipava in massa affollandosi lungo le due muraglie, sul ponte e la passarella.
Col passare del tempo, però, questa consuetudine andò in disuso e di essa è rimasto soltanto il ricordo sbiadito di certi anziani, che hanno vissuto direttamente la realizzazione di questo evento.
Un altro appuntamento della festa molto apprezzato dai sestesi e in modo particolare dagli uomini, che vi accorrevano numerosi cun cadiras e bangheddus (con sedie e sgabelli), era la gara poetica, cioè sa cantada sarda, che comunque si svolgeva anche per le altre feste paesane.
Per ciò che riguarda is cantadas che si facevano per S. Giorgio la memoria popolare ci tramanda quella del 23 aprile 1930, a cui parteciparono i poeti improvvisatori Pasquale Loddo, Francesco Farci, Efisio Loni e Luigi Taccori, accompagnati dai quartesi Salvatore Puddu e Peppino Arippa, in qualità di basciu e contra. Presidente della festa di quell'anno era Battista Secci, noto a tutti come Battista su Ferreri per l'attività di fabbro ferraio che svolgeva in paese.
Questa gara è rimasta famosa per il significato politico de certas sterrinas e de medas torrida, che soprattutto in cobertantza furono cantate in forma satirica da Pasquale Loddo, il quale le stese con velato riferimento alle autorità politiche nazionali del periodo.
Non dimentichiamo che in quel tempo eravamo in pieno regime fascista e pertanto, dopo alcuni versi sospetti un gerarca locale in camicia nera si affiancò al maresciallo dei carabinieri per avvisarlo che is cantadadoris, soprattutto il Loddo, stavano cantando in disprezzo al Fascismo.
Il maresciallo, tuttavia, vista la piazza gremita da tante persone che seguivano interessate il canto, non intervenne per evitare disordini e a quel punto gli altri compositori, considerata la mala parata che si stava profilando, cercarono di aggiustare le cose riportando il tema della cantata su argomenti più poetici e privi di riferimenti politici.
Alla fine dello spettacolo, la folla presente applaudì a lungo tributando un caloroso apprezzamento ai poeti, che, però, furono invitati dai carabinieri a scendere dal palco e presentarsi in caserma per alcuni chiarimenti sul significato di certi versi (sterrinas). La memoria collettiva tramanda che i cantatori furono trattenuti e torchiati per diverse ore dal maresciallo e alla fine, sebbene molto provati dal confronto, poterono comunque rientrare liberamente ai loro paesi.
Un'altra gara poetica che altresì si ricorda è quella che si svolse la sera del 22 aprile 1958, giorno della vigilia della festa, alla quale parteciparono gli improvvisatori: Salvatore Usai di Sestu, Massimino Moi di Quartu Sant'Elena, Francesco Loddo e Francesco Farci, ambedue di Cagliari, […].
Oggi, comunque, la festa di S. Giorgio è molto diversa rispetto al passato. Infatti, dopo gli anni Sessanta, a causa del ridimensionamento del culto imposto dalla Chiesa, il calendario civile dei festeggiamenti è stato progressivamente ridotto rispetto ai vecchi fasti. Dopo di che, è stato eliminato per lasciare spazio solo alle celebrazioni religiose con la processione (accompagnata dai cavalieri dell'Associazione Ippica sestese San Giorgio vestiti con l'abito tradizionale) e la messa solenne, che ormai si svolgono la sera, anziché al mattino come si faceva prima.
Nell'ultimo decennio, tuttavia, anche grazie alle iniziative culturali e di spettacolo proposte dall'Amministrazione Comunale, ai festeggiamenti religiosi hanno fatto seguito alcune interessanti manifestazioni civili, incentrate soprattutto su concerti di musica classica e canti di gruppi corali, realizzati all'interno della chiesa parrocchiale, dopo le funzioni liturgiche.
Dal 2010 a questi intrattenimenti si è aggiunto anche su ballu tundu, che di fatto ha sancito, fra i sestesi, il ritorno molto gradito di quest'antica tradizione. Infatti, sempre più spesso la gente ha ripreso a ballare in forma spontanea le vecchie danze tradizionali, a cui partecipano tanti affezionati di fuori e gli stessi componenti dei gruppi folcloristici locali, che al ritmo coinvolgente dell'organetto e delle launeddas s'intrattengono a lungo nel piazzale di chiesa.
Alla fine delle danze una cascata pirotecnica e i fuochi d'artificio in miniatura determinano la chiusura sistematica dei festeggiamenti.
Degna di nota, infine, la ripresa in forma solenne dei festeggiamenti religiosi e soprattutto, di quelli civili, che sono stati proposti in occasione della festa del 2019 (grazie all'impegno dei cavalieri dell'Associazione Ippica sestese San Giorgio), riscuotendo un ampio consenso nel paese.

Autore: Roberto Bullita

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