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Sant'Antonio da Padova

Per quanto riguarda Sestu il culto è documentato, seppure in maniera curiosa e insolita, dagli inizi del Seicento e quindi, molto tempo prima dell’edificazione della chiesetta dedicata al Santo. […]
 
Sempre in passato, dal punto di vista civile la festa prevedeva diversi intrattenimenti che si svolgevano proprio nel vicinato dove è ubicata la chiesa. Il giorno della vigilia, già dalle prime ore del mattino il quartiere era animato dai venditori ambulanti che allestivano is paradas, cioè le bancarelle piene di dolciumi, o anche di utensili vari.
Gli uomini, da parte loro, provvedevano a riaddobbare la chiesa col mirto fresco, a sistemare tra le case del vicinato le bandierine festive e a innalzare l'albero della cuccagna per il giorno dopo. Le donne, viceversa, si occupavano di ripulire per bene il piazzale antistante la chiesetta, che poi veniva annaffiato per eliminare la polvere e cosparso di erbe e fiori di campo, per rendere più profumato l'ambiente.
La notte della vigilia lo spettacolo in piazza cominciava nell'allegria generale con sa cantada, la gara poetica dialettale. Ma poteva anche capitare che, nel contempo, in talune case private si ballassero al ritmo delle launeddas le danze tradizionali, che si protraevano fino a notte tarda. Le bancarelle, invece, venivano prese d'assalto dai bambini, i quali con grandi schiamazzi curiosavano tra un venditore e l'altro, con la speranza di poter agguantare qualche dolcetto o nocciolina.
Il giorno della festa, già dal primo mattino, si svolgevano tutti i riti religiosi legati alla glorificazione del Santo, poi, subito dopo pranzo, avevano inizio le corse dei cavalli berberi e dei puledri, oppure le corse a pariglia, in cui i cavalieri più abili e coraggiosi si esibivano in spettacolari acrobazie sui cavalli al galoppo, lungo sa Bia de sa Serrixedda, l'attuale Via Monserrato.
Le corse dei cavalli, invece, avevano inizio nei pressi della chiesa di Sant'Antonio, con partenza dal tratto dritto di Bia de is Argiolas, oggi Corso Italia. I cavalli berberi effettuavano un percorso più lungo chiamato s'arringu longu, rispetto ai puledri che al contrario facevano un percorso più corto: s'arringu crutzu o de is puddedus.
All'ora stabilita un acuto e prolungato suono di tromba dava inizio alla gara e allo stesso tempo, annunciava agli spettatori che affollavano il tragitto che i cavalli erano partiti, in modo da evitare incidenti. Lungo il percorso delle aie un altro trombettiere avvisava la gente che i cavalli si stavano avviando verso la periferia del paese, in direzione Santa Rosa.
Dopo aver effettuato il giro di boa lo stesso suonatore faceva squillare ancora la tromba, per avvertire che i cavalieri stavano rientrando nell'abitato. Poi, prima di imboccare il tratto finale dove solitamente si svolgeva la volata, il primo trombettiere che aveva segnalato la partenza, suonava nuovamente per informare che i cavalli erano in prossimità del traguardo e pertanto, il percorso doveva restare assolutamente libero da ogni ostacolo.
Le prime notizie documentate sullo svolgimento delle corse per Sant'Antonio risalgono all'anno 1793, quando Raimondo Loddo anticipò la spesa di 65 palmi di stoffa da utilizzare per confezionare i premi da consegnare ai cavalieri che dovevano gareggiare per questa festa.
Come accadeva per la festa di S. Salvatore, anche per S. Antonio da Padova le corse dei cavalli erano seguite con passione dalla gente, tanto che il Comune nell'Ottocento e per il primo quindicennio del Novecento, sosteneva col bilancio comunale questo beneamato intrattenimento. Nel 1863, ad esempio, il Comune destinò 25 lire per la corsa dei puledri, mentre nel 1870 e 1874 rimborsò 100 lire per anno a un certo Giovanni Mereu, per aver anticipato le somme necessarie per svolgere le corse dei cavalli berberi durante le feste di
S. Antonio di quegli anni.
Nel 1888 la Giunta Comunale stanziò addirittura 300 lire per il pagamento dei premi delle corse, più 5 lire a persona da corrispondere alle due guide (is ponidoris) Piga Raffaele e Caredda Sisinnio, preposte dall'autorità comunale per tracciare il percorso e guidare i cavalli durante la gara.
Nel 1891, però, la spesa per le corse dei cavalli fu ridotta a sole 100 lire e questa decisione generò l'energica contestazione di alcuni consiglieri comunali, i quali durante una riunione di Consiglio sottolinearono che quella somma [...] era troppo esigua perché lo stanziamento serviva a far fronte, non solo alle feste dello Statuto, ma anche a quelle di Sant'Antonio e San Salvatore, per le quali in occasione delle corse dei cavalli berberi, aveva luogo da lungo tempo, un gran concorso di gente dai Comuni limitrofi che attivavano il commercio locale, del cui incremento il Comune non poteva disinteressarsi [...].
Sicuramente questa contestazione andò a buon fine perché nel 1893, la Giunta Comunale deliberò la somma di 150 lire per pagare i premi della corsa dei cavalli durante la festa di Sant'Antonio, che furono così ripartiti: per la corsa dei berberi il 1° premio di lire 35 andò al cavallo di Raffaele Massidda di Monserrato; il 2° premio di lire 32 andò al cavallo di Efisio Argiolas, pure di Monserrato; il 3° premio di lire 30, infine, l'ottenne il berbero di Raffaele Argiolas di Sestu. Nella corsa dei puledri, invece, il 1° premio di lire 20 andò al cavallo di Stefano Virdis di San Sperate; il 2° premio di lire 16 a quello di Raimondo Massidda di Monserrato; il 3° premio di lire 12 andò, a pari merito, al cavallo di Luigi Cadoni di Quartu Sant'Elena e a quello di Cirino Spiga di Monserrato. Alle due guide Sisinnio Caredda e Giovanni Bullita entrambe di Sestu, fu corrisposto invece il compenso di 5 lire cadauno.
Come evidenziano ancora le delibere della Giunta Municipale, la sovvenzione comunale di 150 lire, per i premi delle corse dei Cavalli per S. Antonio, proseguì anche negli anni successivi, fino alla fine dell'Ottocento e si protrasse ancora durante il primo decennio del nuovo secolo, sebbene con una riduzione di 10 lire.
Negli anni successivi, le fonti archivistiche non danno ulteriori informazioni al riguardo. È probabile però che, già dal periodo precedente l'inizio della Grande Guerra mondiale, i fondi furono utilizzati per altre finalità del Comune. Ciò nonostante, le corse dei cavalli per Sant'Antonio proseguirono nei decenni successivi, per mezzo delle sovvenzioni dei privati e soprattutto, delle offerte raccolte dai comitati organizzatori della festa.
In ogni caso, alla fine della corsa dei cavalli, la gente tornava in piazza per assistere al gioco dell'albero della cuccagna, su pinnioni, che vedeva come protagonisti i giovani più scaltri e vigorosi del paese che cercavano di guadagnarsi i premi posti in cima al palo, arrampicandosi come potevano sul tronco completamente imbrattato di grasso animale, che rendeva l'impresa estremamente faticosa. L'obiettivo, infatti, non era cosa facile da raggiungere a causa dell'eccessiva viscidità del tronco e questo, malgrado gli sforzi profusi dai partecipanti, creava situazioni molto divertenti che suscitavano l'allegria generale del pubblico presente. Da parte loro i concorrenti, tra una pausa e l'altra, se la spassavano lanciando manate di grasso alla gente, che schiamazzava entusiasta quando qualche malcapitato veniva centrato in pieno.
Terminato questo divertimento si dava inizio ai balli che si protraevano fino a tarda notte, poi i festeggiamenti si chiudevano con i soliti fuochi d'artificio, sebbene la maggior parte dei giovani continuasse negli svaghi preferiti per molte ore ancora, tra canti, balli e consumo di cibi e bevande.
Questi intrattenimenti, tuttavia, spesso davano corso a degli eccessi che talvolta degeneravano in rissa, come accadde durante la festa del 1862, quando un gruppo di giovani che ballava pubblicamente nel piazzale entrò in colluttazione soprattutto con un certo carabiniere Locci, [...] che preso dal vino s'introdusse di mal piglio entro alla cerchia del ballo per mandare via diversi giovani che vi si trovavano senza offendere nessuno, soltanto per udire il suono e godere del ballo secondo costume [...]. Il gendarme, infatti, scambiò l'atteggiamento dei ballerini che si apprestavano a fare coppia con le ragazze, come condotta scorretta da reprimere. Alla fine, la tensione fra le due parti salì alle stelle e soltanto grazie all'intervento persuasivo del parroco Giovanni Antonio Sechi si evitò il peggio.
Ai giorni nostri i festeggiamenti civili in onore del Santo sono molto diversi rispetto al passato, mentre restano invariate tutte le cerimonie religiose e la tradizionale offerta ai poveri del pane benedetto, subito dopo il sermone.
 
Alla processione partecipa un folto numero di cavalieri e figuranti in costume tradizionale, che unitamente ai suonatori di launeddas precedono il simulacro del Santo, portato a spalla dai fedeli, oppure trainato da un carro di buoi riccamente bardato di nastri e fiori variopinti. Seguono le autorità religiose, civili e i fedeli, che pregano e cantano i consueti inni in onore del Santo.
Gli intrattenimenti sociali, invece, si svolgono nell'arco di tre giorni rispetto alle due giornate del passato e consistono in manifestazioni musicali, teatrali, o folcloristiche di vario genere, solitamente sovvenzionate con le offerte raccolte tra la popolazione e talvolta, con fondi comunali.
I soliti fuochi d'artificio, infine, decretano la chiusura della festa, mentre tra gli applausi gioiosi dei presenti il comitato organizzatore esprime vivaci auguri di rinnovo al prossimo anno.

Autore: Roberto Bullita

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